Ma chi può sopportare una città tanto perversa? Bisognerebbe essere di ferro per trattenersi, quando arriva la nuova lettiga dell'avvocato Matone, che la riempie tutta, seguito da un tale che ha tradito l'amico più caro ed è pronto a rapinare ciò che resta della nobiltà rovinata, un tale di cui ha paura anche Massa e che Caro liscia con regali; un tale a cui il pauroso Latino mette sotto la sua Timele; quando ti si parano davanti quelli che si guadagnano eredità durante le notti e quelli che la vescica di una vecchia beata porta al settimo cielo (Sat. I, 30-39).
In latino il testo originale è il seguente:
Nam quis iniquae
tam patiens urbis, tam ferreus, ut teneat se,
causidici nova cum veniat lectica Mathonis
plena ipso, post hunc magni delator amici
et cito rapturus de nobilitate comesa
quod superest, quem Massa timet, quem munere palpat
Carus et trepido Thymele summissa Latino?
Cum te summoveant qui testamenta merentur
noctibus, in caelum quos evehit optima summi
nunc via processus, vetulae vesica beatae?
L'inizio della II satira, «Ultra Sauromatas fugere hinc libet...», è divenuto addirittura proverbiale, anche nella Firenze del primo Quattrocento (per esempio nelle lettere di Coluccio Salutati, il famoso cancelliere della Repubblica Fiorentina), per esprimere il desiderio di fuggire dalla civiltà e in particolare dai cattivi poeti. Scrisse infatti Giovenale:
Si ha voglia di fuggire oltre le terre dei Sarmati e oltre l'Oceano glaciale tutte le volte che osano parlare di morale quelli che si fingono dei Curi e vivono in un continuo Baccanale! Ignoranti, prima di tutto, anche se hanno la casa piena di gessi di Crisippo... (Sat. II, 1-4)
In latino il testo originale è il seguente:
Ultra Sauromatas fugere hinc libet et glacialem
Oceanum, quotiens aliquid de moribus audent
qui Curios simulant et Bacchanalia vivunt.
Indocti primum, quamquam plena omnia gypso
Chrysippi invenias...
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